RIFLESSIONE-TESTIMONIANZA di DON SALVINO COGNETTI
al 1° convegno su NUCCIA TOLOMEO del 26 / 01 / 2007
PARROCCHIA DI MATERDOMINI - CATANZARO
Io ho conosciuto la signora Nuccia nel 1992, qualche mese dopo che avevo preso
possesso della parrocchia di S. Giuseppe. L’ho conosciuta in un momento un po’ difficile
della mia esistenza, perché il passaggio in quella comunità parrocchiale rappresentò per me un
po’ un trauma, avendo avuto difficoltà di ambientamento, trovandomi in un ambiente
totalmente nuovo, rispetto alla mia personalità. Allora io confidai alla signora Nuccia queste
mie difficoltà. Lei mi vide che ero un poco turbato e mi disse una parola grande, che mi è
rimasta nel cuore, che mi ha aiutato e mi ha consentito di riprendermi. Mi disse: “Dedicati
alla preghiera, metti al centro della tua esperienza di sacerdote la vita di preghiera”.
Quelle parole che mi ha detto, la necessità di centrare sulla preghiera l’esistenza sacerdotale,
quindi dare costantemente nella giornata molto tempo alla Liturgia delle ore, al rosario, alla
meditazione, alla lectio divina, all’adorazione, vivere tutti questi esercizi della vita spirituale,
dedicando ad essi molto tempo, è stata la ricetta che mi ha aiutato. Quindi sono riconoscente
personalmente a lei, perché era riuscita ad entrare nel mio animo e a dirmi quella parola, della
quale io in quel momento avevo bisogno. Non trovandomi bene in un ambiente un po’
rumoroso, (io sono un tipo più dedito alla meditazione, allo studio, alla riflessione), in un
ambiente in cui avevo un po’ di difficoltà a relazionarmi, lei capì e mi disse di continuare, di
vivere più profondamente l’esperienza della preghiera, perché da ciò sarebbe nata la capacità
di fare comunione con la gente. In effetti, nella mia esperienza ho visto questo: dedicandomi
di più alla preghiera, c’è stata una maggiore capacità di entrare in comunione con la vita delle
persone, soprattutto con la vita delle persone più umili. Quindi di questo io sono
immensamente riconoscente a Nuccia, che, nella sua semplicità, nella sua umiltà, ha detto una
parola vera per la mia esistenza.
Ed ecco altri due aspetti della sua personalità, che mi hanno profondamente colpito.
Prima di tutto, incontrandola, si aveva un’intuizione, che lei aveva compreso l’essenza di Dio.
Vedete, nella nostra esperienza, a volte riportiamo su Dio quelle che sono le caratteristiche
della nostra personalità. Se una persona ha ricevuto grandi torti nella vita, immagina Dio
come un giustiziere, ha l’idea della giustizia vendicativa di Dio, che ristabilisce il diritto che è
stato violato. Una persona che ha vissuto con il proprio padre un rapporto difficile, pesante,
un rapporto angosciante, ha l’idea di un Dio lontano, distante, di un Dio che ti giudica. Lei
invece ti comunicava subito questa profondità di conoscenza di Dio, cioè il fatto che Dio è
amore. Nella sua esperienza di dolore aveva compreso profondamente l’essenza di Dio, che
Dio è amore. Aveva capito qual è il vero nome di Dio e quindi aveva la capacità di
comunicarti questo amore del Signore, questo amore che Dio ci da e la risposta nostra non
può essere che una risposta di amore. Questo indica una profondità di dottrina spirituale che c’era in lei.
Poi un secondo aspetto che mi colpì: nella sua situazione di dolore, lei voleva il bene
degli altri. Capita frequentemente che chi soffre non voglia il bene degli altri, che chi soffre
voglia che gli altri siano nel dolore, per poter trovare in qualche modo una consolazione alla
propria sofferenza. E’ un’esperienza terribile questa della psicologia umana e del peccato
dell’uomo. Tante volte nella sofferenza noi non gioiamo del bene degli altri, non amiamo il
bene degli altri. Lei invece nella sofferenza amava il bene degli altri. E questo per me è
l’indice più grande della santità. Chi riesce nella sofferenza a vincere questo combattimento
spirituale con l’avversario di Dio, che porta la persona sofferente a non volere il bene degli
altri, per provare consolazione al proprio dolore nel dolore degli altri, chi ha superato questo e
vuole con autenticità il bene degli altri è una persona che ormai vive veramente in Dio. Questa
è una cosa che mi ha colpito profondamente della esperienza di Nuccia. Questo è un tema che
costantemente medito nella mia esistenza. Quando si presenta l’avversario di Dio a dirci che,
forse, se gli altri soffrono, noi potremmo essere più consolati, pensare a Nuccia, a questo suo
amore profondo per gli altri che erano nel dolore, per vincere questa battaglia, una battaglia
che ognuno di noi deve combattere e vincere.
Poi ho un ricordo legato all’incontro che Nuccia ebbe con i giovani della mia parrocchia.
Per tre volte sono andati i ragazzi di terza media a trovarla. Due volte andai io con i ragazzi.
Lei riuscì a comunicare con questi ragazzi. Mi ricordo una volta che i ragazzi suonarono a
lungo la chitarra e cantarono. Lei si mise a piangere e poi ebbe delle parole per questi ragazzi
di 12-13 anni, che erano rimasti un poco sconvolti nel vedere il suo corpo così sofferente e
così macerato. Riuscì ad entrare nei cuori di questi ragazzi e questo è indice di una
capacità di comunicativa, non solo con le persone sofferenti, ma anche con dei ragazzini che
non avevano al momento problemi di dolore, che cantavano con tanta gioia e tanta serenità.
Lei è riuscita a farsi una di loro. E’ riuscita a mettersi a loro livello. Questo è un altro grande
indice di una persona che sapeva farsi tutto a tutti, che sapeva parlare di dolore con chi è
nel dolore, ma sapeva anche parlare di gioie e di serenità con dei bambini, che in quel
momento, ringraziando il cielo, non stavano vivendo l’esperienza del dolore.